Strutture


Le fortificazioni ereditate dal “Vallo Alpino” erano state concepite come una serie di fasce difensive di sbarramento delle zone di transito, appoggiate ai fianchi delle valli, sul fondo valle solo nel caso che la vallata sia ampia, in zone inaccessibili o difficilmente aggirabili. Sommariamente uno sbarramento difensivo era così ordinato:
un complesso di opere disposte a scacchiera, armate con mitragliatrici e cannoni controcarri fortemente blindati, destinati a battere tutta la fascia difensiva;
un fossato o muro anticarro integrato da un campo minato;
postazioni per l’artiglieria, per azioni di appoggio e di interdizione;
osservatori, sito per fotoelettriche, ricoveri per truppe destinate al contrattacco e postazioni per il plotone difesa vicina, quando era previsto;
una rete multipla per i collegamenti via filo ;
una rete stradale per i rapidi schieramenti delle artiglierie di appoggio.

Le opere erano costruite in caverna, quando il terreno lo permetteva, oppure in calcestruzzo con coperture spesse fino a mt. 3,50 e pareti grosse mt. 4,50, capaci di resistere al tiro prolungato dei maggiori calibri. Le feritoie e le cannoniere erano protette da robuste corazzature di acciaio per dare la massima protezione alle armi e ridurre al minimo le aperture.
Questi manufatti erano quasi sempre costruiti su due o più piani, a seconda della loro dislocazione sul terreno. Al piano superiore trovano posto le camere da combattimento, le riservette delle munizioni, il gruppo elettrogeno e i locali servizi, al piano inferiore i dormitori dotati di appositi lettini sovrapposti; presso gli ingressi latrine con turche o gabinetti chimici. Un sistema di portelloni stagni del tipo navale isolava le camere da combattimento dalla zona logistica, per scongiurare intossicazioni dovute dall’ossido di carbonio provocato dai fumi di sparo delle armi, i cannonieri e mitraglieri, per proteggersi, indossavano maschere antigas collegate mediate tubi corrugati ad un impianto di circolazione di aria forzata fornita da ventole azionate manualmente. Limitata era invece la protezione NBC affidata ai normali sistemi individuali difficili da portare per lunghi periodi. L’energia elettrica era fornita da gruppi elettrogeni, capaci di erogare corrente anche a più opere ( in tempo di pace l’energia elettrica era prelevata dalla rete ENEL), impianti di deumidificazione proteggevano, per quanto possibile, dall’umidità. Gli osservatori era costituiti da cupole fisse di acciaio tipo Schneider con spessori che raggiungevano anche i 35 cm.. Notevoli per la loro ottima riuscita erano i mascheramenti fatti con materiali imitanti la roccia circostante e integrati da vegetazione impiantata ad arte. Tutte le feritoie, le cannoniere e gli ingressi erano chiusi da leggeri portelloni mimetizzati apribili in caso di bisogno.
Nelle opere in caverna gli alloggi, i depositi, ed i servizi erano sistemati in una galleria/e avente una sezione di mt. 4 per 3,50, i locali erano ricavati mediante una tramezzatura della galleria stessa. Il rivestimento delle gallerie era realizzato in calcestruzzo con vespaio interposto fra roccia e parete, in modo da proteggere l’interno dall’umidità e da eventuali infiltrazioni d’acqua che era drenata con apposite condutture. Ristrette gallerie portavano alle camere da combattimento disposte anche su più livelli. Come nelle opere in calcestruzzo anche quelle in caverna troviamo sempre due uscite lontane una d’altra per ovvi motivi di sicurezza. Si pone in evidenza che le opere in caverna sommano ai noti vantaggi, uno scarso invecchiamento della struttura, poca o nulla sensibilità all’offesa proveniente dall’aria per la quale costituiscono un difficile bersaglio.
A ridosso di alcuni sbarramenti importanti erano state costruite delle casermette per alloggiare i militari che dovevano curare la manutenzione, la sorveglianza e la eventuale immediata attivazione delle principali opere.