La fine


Fino all’anno 1976 il sistema difensivo basato sulla fortificazione permanente godeva di molta considerazione presso lo Stato Maggiore. L’avvento dell’arma nucleare tattica ne aveva esaltato le funzioni in ragione delle maggiori possibilità di sopravvivenza che la fortificazione offre ad una esplosione nucleare ravvicinata . La presenza delle opere, a ridosso del confine, aveva consentito la dilatazione dei settori difensivi e la costituzione di riserve più consistenti nell’ambito delle forze mobili. E’ nota la loro efficacia come elementi di ritardo, di logoramento e di arresto, indipendentemente dal procedimento di difesa adottato. Susseguentemente la situazione finanziaria che induceva ad economizzare, nell’ambito dell’esercito di campagna, a favore delle forze mobili portò alla rinunzia a costruire opere nuove e a considerare antieconomico l’ ammodernamento di quelle esistenti. Tali iniziative che portarono allo scioglimento dei reparti d’arresto e alla dismissione delle opere, con la conseguente perdita della specifica capacità addestrativa e con questa della relativa “cultura”, furono del tutto inappropriate, perché tenuto conto dell’imprevedibilità dei mutamenti geopolitici, forse meritavano, pur ridimensionate, il mantenimento in vita almeno di quelle unità dislocate in zone “sensibili” e che le opere , ora non più manutenzionate e in breve tempo irrecuperabili, fossero ammodernate visto che per quarant’anni erano state mantenute efficienti con dei costi relativamente limitati.